sabato 18 luglio 2009

"TRAGOEDIA" DI FRANCESCA FARINA NELLA CRITICA DI DOMENICO ALVINO

"Tragoedia", sonetti
di Francesca Farina (Editrice Zona 2008)

Sarà il caso o no di dire che il sonetto incipitario pone quella che per il De Sanctis era la situazione? Che qui sarebbe della poeta, o del suo essere, rimasto come sospeso, inadempiuto, essendo venuto meno il tocco demiurgico dell'amato che con un gesto, uno sguardo, appena un cenno di carezza, la riproduceva, anzi la produceva all'essere, a ripartire, o a partire ogni volta dal nulla, dalla sua bocca, che è sempre aperta sotto il nostro essere questo o quello. Sicché ora deve ricominciare, la vita deve riprendere a lavorarla, perché ridiventi, torni ad essere, o sia, quella che sempre è.
E con ciò s'è già detta un'operazione della poesia, e dunque sì valeva la pena di dirlo, ché mi pare si sia con ciò anche andati oltre l'immobilismo proprio della situazione, l'immobilismo poeticamente inerte nel quale la lasciava il critico irpino. Qui la situazione è divenuta strumento di poesia, ed inoltre anche mezzo, ambiente in cui diventano possibili altre operazioni di poesia.
Si veda, per esempio, subito nel sonetto primo (p. 15), l'ilicizzazione o materializzazione che la poesia è indotta a fare da un tecnema di accumulatio, vale a dire da un accumulo, nel di lui ventre, di cibi volgari, che procede, seguitandolo, da un altro accumulo che è invece di doni spirituali, come l'amore e l'amicizia, che vi si assimilano materializzandosi. Sicché tutto l'essere di lui è trasformato in ventre che si empie, gonfiandosi di materia avviata al degrado ultimo, senza che neppure appaia la possibilità redentiva che in casi simili è offerta dall'impiego nella fertilizzazione. È quanto gli consegue dall'avere abbandonato lei: con ciò essendo restata lei sospesa nel suo essere, ne viene che è sospeso lui da ogni benché minima utilità mondana.
Perché lei è la regina d'un regno, che è il regno della vita. Anche se ora è disfatta e piena di graffi come di rimpianti e nostalgie feroci, è la regina. Non una donna, una delle tante, come una volta si diceva, sedotte e abbandonate. È la regina tradita. Si ammanta infatti di orpelli, che la poesia trasforma in insegne regali. Si veda il sonetto quarto (p. 18), dove brevemente è tratteggiato il luogo dove sorge la sua casa: un balcone dà su un favoloso “cimitero degli elefanti”; poco oltre c'è la residenza di un ambasciatore, poi la casa di Ingrassia, che la schermatura delle finestre rendono misteriosa, e poi quella di Pasolini... è una reggia la sua casa, dice la poesia, dal momento che la regina vi trascorre le sue ore... Isolata in quelle stanze, vi trascorre il tempo chiuso dell'abbandono, offrendosi al martirio di trentine di giorni di spine di morti di dolori di ferite e di colpi, che nel sonetto seguente (p. 19) l'insistenza moltiplica per migliaia e milioni di migliaia. “Lontana e oscura”, “lacerata nella carne, nell'anima e nei sensi”, è come un Cristo avviato al Golgota che si trascina segnando la sua strada di stille di sangue, e seppellisce la sua regalità nell'abominio totale e inappellabile.
Eppure, è da lei che dilaga la vita, ed è lei che vi accudisce promuovendola fin con il canto di salmi, cospargendola di profumi, illuminandone i passi e riscaldandola nelle giornate spente, come dice nel sonetto ottavo (p. 22). Come può essere, come può essere che la si abbandoni, così, senza capire quale sprazzo di stella lei sarebbe stata, che sole, che dolce alba, che incendio di sospiri, che abbaglio di sereno? Si chiede questo nel sonetto nono (p. 23), come una sovrana datrice di vita dinanzi a un suddito che rifiuta la vita, che lei profonde con tanta abbondanza in grazia soltanto di uno sconfinato amore. Anche quando sembra che si umili dinanzi a lui, in realtà si riconosce in cose nelle quali rigermina la vita. Gli insegna, per esempio, come condursi con lei, così come s'insegna ai paggi un cerimoniale di corte. Ma l'insegnamento stesso, in sé e per sé, non è che un conferimento di esistenza tramite un nutrimento d'essere, simile, per intendersi, a una cura di calcio che fa lo scheletro, simile all'alimento dell'humus che fa il corpo delle piante. E che l'altro sia l'alumnus e il subditus, la poesia lo dice in quel dire di Francesca che lui le cede per scarsezza di forze (p. 24).
Anche quando prega, in realtà enuncia la sua potenza e maestà, come quando s'irrita per il fatto di non beccarlo mai « in piedi o prono » (p.34), o quando sogna di vederlo al mattino sorridente aspettare che lei si affacci, come i cortigiani attendono la regina (p. 35). Nel sonetto dodicesimo, in una serie di correlativi oggettivi la poesia proietta la sua condizione di donna devastata dall'oltraggio dell'abbandono. Ma da ognuno di quegli esseri nei quali s'immedesima (foresta, sangue, sole, luna, pioggia, vento, mani) è un'eccellenza naturale che concorre a costituire il dominio della vita. La poesia però scopre, specie nel suo « sangue che dilaga in ogni senso », quale sia la sua mira, e la indica nel porre sotto sotto in chiaro che è la di lui vita a protendersi dalla sua, e non l'inverso, come lui forse neanche crede e spera. L'ha sepolta semplicemente in una scura dimenticanza, senza sapere che così facendo ha sepolto sé in un vuoto esistenziale che sarà irreparabile fuori di lei, fuori della luce che emana dalla sua regalità (p. 27):
ma sappi che degli angeli è governo
il mio mattino, l'intera mia giornata,
e tu ne sei per sempre chiuso fuori.
dice nella chiusa. E difatti a poco a poco lei si chiude nel suo regale orgoglio (p. 36), e rimuove da ogni luogo la « traccia sozza » di lui, « l'orma di serpente », la sua velenosa bava di lumaca (p. 37). In questo mentre la poesia evidenzia una sorta di marcia delle armate regie verso l'esterno, all'inseguimento della bestia immonda fino a scacciarla definitivamente dai confini dell'impero; e il sonetto che conclude la sezione performa quel trionfo di regina guerriera verso il quale la poesia puntava la sua bussola. E lui è lì ridotto al poco e niente di una misera dipendenza, che lo incatena, lo fa brutto e lo atterra ai piedi di lei, la sovrana vittoriosa.
La sezione seguente, Familiares, che richiama gli epistolari familiari di una volta, in realtà si può dire che abbia come destinatario lei stessa. La poesia suggerisce infatti che i sonetti compongano davvero lettere che lei s'invia per raccontarsi, dei suoi, cose che non s'è mai raccontata, traendoseli a vista come degli eroi ignoti, eroi disconosciuti finora sin da lei. Ad incarnare un simile tipo di eroe è soprattutto il padre, che la poesia trae a vista come espressione delle rocce dei monti, di cui riporta la durezza aspra e l'inesausto battagliare che fanno gli alberi e i monti nella guerra che sostengono contro la violenza della natura. Prima che questa alla fine lo atterri, si cancella lui stesso in un amore selvaggio, e delicato insieme, prima alle sue bestie che fin da bambino sospinge ai pascoli con una cura guardinga e disperata, e poi ai suoi figli, che sgrida per raddrizzarli e indirizzarli fino a perdere la voce. Ma poi s'intimidisce innanzi alla figliola che studia al liceo con i figli dei signori, deve costringersi a domandarle un caffè, che lei gli rifiuta, procurando alla sua coscienza un rimorso acuto e tardivo, come ognuno ha tra noi verso padri e madri, e non lo confessa, e se lo trascina per la vita. E tuttavia questo padre dall'amore timido e furioso, alla di lei laurea fa una gran festa nel suo intimo, la poesia ci dice, festa che poi gli scolma fuori sotto forma di ubriacatura ridarella e canterina. E poi più. Svanito. Con le mani mozzate sparito sotterra. E questo sotterra è in lei, in Francesca, dice la poesia, come un uragano inesploso.
La madre viene su a vista da una memoria di carne, come una ferita mal rimarginata. È così che la lavora la poesia, dentro ed oltre le parole della poeta: come una madre del rifiuto, una madre disegnata di spalle ed oscurata entro un costume nero che la strappa via dalla figlia. Invano essa ne invoca il grembo e l'abbraccio. Lei glielo rifiuta. Tutto le rifiuta. Anche il cibo, che lei si abitua a non chiedere. È che la malasorte le ha consegnato una femmina in luogo del maschio che si aspettava. Ma, benché strano a dirsi, tutto questo la poesia – nonché le parole – volge in Francesca ad alimento di un amore filiale inesausto, anziché di tenace odio, un amore incolmato ed incolmabile, che trema all'idea della di sua dipartita, quando si scioglierà in gigli e viole tutto quell'amato corpo, e quel seno sempre invano agognato.
Di una zia Z. rievoca la figura e la vita l'ultimo lembo delle Familiares, suddiviso petrarchescamente in morte e in vita di lei. Ne viene una figura non meno enigmatica di quella materna, d'una durezza anch'essa prodotta dall'aspra natura isolana. Riottosa con se stessa più che col mondo – con il quale pure fu « crudele belva » (p. 71 v. 13) – la zia, tolto un affetto operoso nutrito per la giovane nipote, ha vissuto una vita chiusa in sé, come un'oscura isola posta nella distesa delle onde tempestose che le si agitano intorno. E riottosa muore in una solitudine per di più offuscata da mali definitivi e impietosi, che lei sopporta con una burbanza disfatta, più che quietamente rassegnata. Ed anche a lei Francesca apre un sepolcro nel suo cuore, la poesia dice, sì che a poco a poco questo cuore è allestito come un cimitero ove lei si dà d'attorno con sue cure alle piccole tombe, cure non prive di un affanno turbinoso, che le viene da rimpianti e scrupoli che là stesso cerca invano di seppellire.
Nell'ultima sezione, La tragedia dei giorni, è allestita una storia di lei come cultrice di poesia in attrito con le disavventure del giorno, le contrarietà e i dissapori. L'operatività poetica dà qualche buona prova in singole soluzioni tecnematiche dove compie felici operazioni. Come nel sonetto ottavo, in cui spicca il distico incipitario («Tornando a casa adesso scopro il cielo/ e le strade stellate dell'abisso») cui consegue una splendida Op di introiectio o internamento, per cui il cielo viene posto dentro, nel fondo della sua anima, con le conseguenze facilmente immaginabili; e più oltre (v. 10), la nominazione della città come «schiera di vermi e nervi nella notte», cui corrisponde una Op di corporeizzazione della notte stessa, come di deforme animale dalla vita verminosa e malfattrice. Altrettanto suggestivo è il sonetto dodicesimo, che è come un orecchio teso alle voci notturne, che poi hanno varia risonanza dentro di lei, per grazia di poesia. Ma sul piano macrotestuale soprattutto, l'operatività poetica soffre di alquanta stanchezza, e dunque non ne tocchiamo che poco, questo accenno solo di dire che all'ingorgo di creazione e intralci quotidiani la poesia intreccia la complessa problematica della senectus, che comincia a muovere il suo passo.
Resta ancora da dire che procedendo verso fine, più s'infoltiscono certe forzature, pur presenti per l'innanzi qua e là, stonature che sono il portato d'una ricerca metrica e rimica a poco a poco sempre meno redente ad un acquisto in fantasia e in compostezza ritmico musicale, come capita ai poeti grandi. Se sia o no compiuto il contrappeso che vi appone la poesia con la sua operatività, il critico non dice, lo lascia ai lettori da dire, perché abbiano un daffare anche loro, e non l'abbia lui solo.
Domenico Alvino

venerdì 17 luglio 2009

L’ Isola dei Poeti
a cura di Roberto Piperno e Francesca Farina presenta

PREMIO INSULA ROMAE

CERIMONIA DI PREMIAZIONE

Scaletta del 14 luglio 2009, ore 18,30 (con inizio circa ore 19,00)
Al tavolo Giorgio Ginori, Tomaso Binga, Mario Lunetta, Francesca Farina,
Francesco Muzzioli e Roberto Piperno
(Farina e Piperno si situano ai lati estremi del tavolo per avere agio di spostarsi,
secondo le esigenze)

Ore 19,00 circa. Parla Roberto Piperno, per ringraziare i partecipanti al premio e i convenuti. Quindi presenta e ringrazia Giorgio Ginori e gli cede la parola per ringraziamenti, ecc.

Riprende la parola Roberto Piperno per leggere i nomi dei finalisti e invitarli in ordine alfabetico a leggere una sola poesia ciascuno, tra le tre presentate al concorso.

Si avvicinano al microfono i poeti, in ordine alfabetico, e leggono (chiamati alternativamente da Roberto Piperno e da Francesca Farina)

Alla fine delle letture di tutti i poeti (compresi i vincitori) Giorgio Ginori proclama il terzo classificato e lo invita ad avvicinarsi al microfono, mentre la giurata
Francesca Farina legge le motivazioni della Giuria.
Subito dopo, il terzo classificato legge la poesia prescelta.

Riprende la parola Giorgio Ginori per proclamare il secondo classificato, che si avvicina al microfono, mentre il giurato Francesco Muzzioli legge le motivazioni della Giuria.
Subito dopo, il terzo classificato legge la poesia prescelta.

Riprende la parola Giorgio Ginori per proclamare il primo classificato, che si avvicina al microfono mentre Mario Lunetta legge le motivazioni della Giuria.
Il primo classificato legge la poesia prescelta.

Alla fine Robetto Piperno e Francesca Farina ringraziano e salutano, lasciando poi che Giorgio Ginori riprenda la parola a sua volta per ringraziamenti e saluti, invitando poeti e pubblico alla Seconda Edizione del Premio, che si svolgera’ sempre all’Isola Tiberina nell’estate del 2010.


Conclusione della cerimonia.


L’ Isola dei Poeti
a cura di Roberto Piperno e Francesca Farina presenta

Premio Insula Romae Ia edizione anno 2009
Secondo classificato il poeta Paolo Guzzi.
Motivazione della Giuria, formata da Tomaso Binga, Mario Lunetta,
Francesco Muzzioli, Roberto Piperno e Francesca Farina.

L’acqua veloce, di cui parla fin dal titolo il testo di Paolo Guzzi, non ha niente di euforicamente futurista (del tipo Spagna veloce); è invece un’immagine inquietante, l’immagine di una minaccia che richiede viva attenzione e acuta sorveglianza.
L’acqua veloce è quella della piena del Tevere che unisce le sponde del passato classico, rievocato attraverso l’Ode di Orazio, e del presente, il presente della cronaca dell’ingrossarsi del fiume nel dicembre dello scorso anno. Come nel passato il pensiero mitico vedeva nel dilagare del Tevere, oltre alla furia vendicativa della sua consorte (Ilia o Rea Silvia che fosse) ingiustamente punita dai romani, assumeva l’ulteriore significato di una allegorica premonizione delle sciagure politiche, allo stesso modo, nell’attualità, le acque vorticanti attorno ai pilastri dei ponti non promettono nulla di buono e non serve a nulla che un sindaco dal cognome di barbaro si premuri di dichiarare la situazione “sotto controllo”, mentre l’oscurità e l’impasto limaccioso dell’alluvione sembra – dice Guzzi – «portarlo via», al pari di un inane esorcismo. Nel testo, il fiume si vendica dell’uomo e della sua illusione antropocentrica, addobbando con ironia i tronchi travolti a farne grottesche parodie delle festività natalizie.
L’Isola resiste, è vero, al montare dell’acqua veloce. Essa appare però, nei versi di Guzzi – più “isolata” che mai. La piena, infatti, divide precisamente, i «lungodegenti» ricoverati sull’isola come su una nave di salvataggio e i «nullafacenti» che si aggirano curiosando l’evento straordinario, senza separarsi dall’alienazione quotidiana della «birretta». Sono le due alternative, false alternative certo, della condizione umana di oggi, entrambe emarginate, entrambe a loro modo patologiche. L’emergenza del fiume le mette una di fronte all’altra, due rive gemelle. In mezzo, tra passato e presente, tra l’isola-ospedale e gli argini-spettacolo, Guzzi pone una immagine di mediazione assai stridente, quella degli zombi. Vivi e morti allo stesso tempo, e quindi in un certo senso più saggi di noi, gli zombi non sono tuttavia portatori di una vera mediaizone ben riuscita. Sono piuttosto i rivelatori della nostra immagine, sono la figura dello stato incerto, incompleto e contraddittorio in cui viviamo. Essi compaiono all’inizio e alla fine del testo, con inquietante circolarità. Per giunta, nelle rime-assonanze del finale “sponda”, “ombra” e “onda” si mescolano in un turbinante scambio simbolico dove l’onda mette a rischio la sponda, ma tutt’e due sono rivolte all’ombra della nostra condizione di cittadini a metà, in buona parte passivi, se non eterodiretti.
Con un sapiente gioco di immagini e di alternanze di piani, la scrittura poetica di Guzzi approfitta dell’occasione tematica per offrire alla nostra riflessione un testo nello stesso tempo seriamente discorsivo e felicemente inventivo.
(Per la Giuria: Francesco Muzzioli)

L’ Isola dei Poeti
Premio di poesia

“INSULA ROMÆ”
PRIMA EDIZIONE
MARTEDÌ 14 LUGLIO 2009
Roma, Isola Tiberina, Nave di Esculapio
Ore 18:30 – 21:00

PREMIAZIONI DEI POETI
ALLA PRESENZA DI GIORGIO GINORI
“ISOLA DEL CINEMA”
CON LA GIURIA
TOMASO BINGA, FRANCESCA FARINA, MARIO LUNETTA,
FRANCESCO MUZZIOLI, ROBERTO PIPERNO
Primo premio alla poeta Carla Guidi.
Motivazioni della Giuria.


“Ad Incubatio di Carla Guidi è andato il primo premio “Insula Romae” in forza della sua concentrazione concettuale brillantemente risolta in energia ritmico-metaforica. Nessuna concessione, in questo testo, a suggestioni di facile lirismo o ad appoggi di carattere archeo-storico in chiave leggendaria. Nessun ricorso a banali risorse di folclore romanesco da cartolina; invece, uno sguardo portato alla giusta distanza problematica su un oggi carico di passato”.
(per la Giuria: Mario Lunetta)
L’ Isola dei Poeti
Premio di poesia

“INSULA ROMÆ”
PRIMA EDIZIONE
MARTEDÌ 14 LUGLIO 2009
Roma, Isola Tiberina, Nave di Esculapio
Ore 18:30 – 21:00

SILVANA BARONI, TERZO PREMIO INSULA ROMAE 2009

MOTIVAZIONI DELLA GIURIA COMPOSTA DA TOMASO BINGA, FRANCESCA FARINA, MARIO LUNETTA, FRANCESCO MUZZIOLI E ROBERTO PIPERNO.

“LA POESIA NASCE DA UN CUMULO DI STORIA”: L’ ASSIOMA RISUONA TANTO PIÙ EVIDENTE DI FRONTE ALLE POESIE DI SILVANA BARONI, CHE SEMBRA CONOSCERE I RETAGGI DEL TEMPO QUANTO UN PROFETA O UNA MAGICA INDOVINA, I QUALI, SCRUTANDO LE PIETRE COME PAGINE DI UN LIBRO ETERNO, TRAGGONO AUSPICI DAI SECOLI E DECLAMANO IL SENSO CON VOCE SERENA, PACATA, MA NON MENO SICURA, ANZI TERRIBILE NELLA SUA ESATTEZZA DRAMMATICA. L’INESORABILE ACCADE NELLE SUE STROFE, E LA POETA LO REGISTRA SENZA MEDIAZIONE, QUASI AVVENISSE SOTTO IL PROPRIO SGUARDO: I CASCAMI DI ALTRI AVVENIMENTI, I LACERTI DI ALTRE SITUAZIONI, IL VIETO BELLO CONSOLATORIO E TARDO-ROMANTICO SOCCOMBONO DI FRONTE ALLA FRASE EPIGRAMMATICA, SENTENZIOSA, MAI BANALE, AL CONTRARIO RICERCATA, NELLO STUDIO SAPIENTE DELLA VERITÀ, CHE RICOMPONE I DISSIDI TRA IL REALE E IL MITICO. LA FORMA IN CUI SI ESPLICITA, POI, IL DISCORSO POETICO CONSISTE IN UN LINGUAGGIO MISTO DI LESSICO ALTO E BASSO, DI SEVERITÀ E IRONIA, DI MALINCONIA E SARCASMO, UNA STRUTTURA AMPIA, DESTINATA A NARRARE, CHE SOSTIENE UN DISCORSO NOBILE E DOLENTE, NELLA LUCIDA CONSTATAZIONE DELL’INEVITABILITÀ DEL MALE. UNA LUNGA SAPIENZA COGNITIVA FA DELL’INDAGINE POETICA, SIA DELL’ANIMO UMANO, LA CUI SOLITUDINE INESPLICABILE ED IMMEDICABILE NON HA ALCUN SENSO, SIA DEL PERCORSO STORICO-MITICO DEL TEVERE, RICCO DI EVENTI, MA ALTRETTANTO IMPENETRABILE, BENCHÉ LA POETA LO OSSERVI COME AL MICROSCOPIO DELLA SUA POTENZA INDAGATRICE, L’ESATTA MISURA DELLA STORIA. LA QUALE NON APPAGA E NON CONSOLA, MA STA, FERMA NELLA SUA ASSOLUTA REALTA’, REFRATTARIA AD OGNI RAGIONE, PAGA DI ESISTERE. COME IL POETA, OCCHIO DEI SECOLI.
(per la Giuria: Francesca Farina)

rosafrancefarina@fastwebnet.it
robpiperno@yahoo.it











PREMIO INSULA ROMAE 2009

FINALISTI





Finalisti in ordine alfabetico

Antonio Amendola
Arceri Paolo, 49
Ariemma Henry, 2
Barbetti Mauro, 39 (fuori Roma)
Baroni Silvana, 53
Carli Paolina, 56
Comes Annalisa, 15
ConTiliano Antonino,38 (fuori Roma)
Cozzolino, Pastrizia, 62 (fuori Roma)
Di Trani Gabriella, 25
Ferlini Vanes , 46 (fuori Roma)
Ferramosca Annamaria, 21
Guidi Carla, 10
Guzzi Paolo, 12
La Carruba Iolanda, 9.
Mammuccari Giuliana, 60
Olivi Terry,47
Perilli PlInio,55
Pisani Mimma, 52
Pollicelli Giuseppe,41
Sabatini Scalmati Lucia, 20
Salvati Angela, 37 (fuori Roma)
Tolve Marisa,5















Premio INSULA ROMAE Ia edizione 2009

TIBER POEM DI ANTONIO AMENDOLA PER IL PREMIO INSULA ROMAE 2009


ER…….SE SGANASCIA SE ‘NGRASSA
DE LE RISATE LE RIEMPIE TEMPO
SE SFONNA ER…….ASSOTTIGLIA
SONORENTE LI DETRITI RETRIVI
ER……BIONNO MAGNA E FANGA
ANNACQUANDO SCIABORDIO PORTA
CON SE’ FERRAGLIA,RAMAGLIA,RUMORI
E LUI ER………………..PACIFICO…….
SE SBRAITA E T’ARIMBARZA FINO
AD OSTIA TABERNAE E INSULAE GIU’
ZAGAJJA ER TEVERE NUN SE LAGNA
NUN SE SFRAGNA MAI L’ACQUA DER CIELO





TRATTENUTI E ATTRAENTI RAMI INFRACIDITI
IN CONCOMITANTE BARCAROLA O BAGNAROLA
BESAME MUCHO FIUME ‘NGRIFATO E CASTO
E VATTELA A PIJJA’ DOVE L’OCCHI SCRUTENO
RIMASUGLI DI COMETE.CHIOME E GUAZZI
LASCIANDOSI LE SPALLE
GUARDAN-DO-LI FIUME LA’
SET MUNDI DE TIBER LA’
FIUME DER CINEMA MA
PEPLA-PEPLUM-PEPLI ET
SPAGHETTI ERTI OVEST
RIVOLTA GLI ARGINI
POVERI MA BELLI MA
SCENOGRAFIE-SCENE
LENTE E MAESTOSE
CABIRIA E CAPOSOTTO
LA COMARE SECCA DE
BERTOLUCCI DE BERTA’
INSULA DE L’AVVENTURA
ANTONIONI DIXIT ANSA
NAVIGABILE SOGNA ET
SONANTE O SONORENTE


(Questo è un assaggio (un saggio) delle capacità dei poeti concorrenti: in attesa di postare i testi dei vincitori...)

lunedì 13 luglio 2009

MARTEDI' 14 LUGLIO 2009, ISOLA TIBERINA, PREMIOINSULA ROMAE

MARTEDI' 14 LUGLIO 2009, ORE 18,30, ALL'ISOLA TIBERINA, NAVE DI ESCULAPIO(PONTE ROTTO),ROMA, CERIMONIA DI PREMIAZIONE DEI POETI VINCITORI DEL PREMIO INSULA ROMAE, PRIMA EDIZIONE 2009, ALLA PRESENZA DI GIORGIO GINORI, IDEATORE DELL'ISOLA DEL CINEMA, E DEI MEMBRI DELLA GIURIA, TOMASO BINGA, FRANCESCA FARINA, MARIO LUNETTA, FRANCESCO MUZZIOLI E ROBERTO PIPERNO. I VENTI FINALISTI LEGGERANNO LE LORO POESIE E TRA QUESTI SARANNO PROCLAMATI I TRE VINCITORI. LA SERATA SI PREVEDE INTERESSANTE E AFFOLLATA DI PUBBLICO, COME QUELLA DI VENERDì 10 LUGLIO SCORSO, ULTIMA SERATA DELLA MANIFESTAZIONE "L'ISOLA DEI POETI". SI CONSIGLIA PERTANTO DI ARRIVARE CON NETTO ANTICIPO.

martedì 7 luglio 2009

L'ISOLA DEI POETI ALL'ISOLA TIBERINA PER L'ISOLA DEL CINEMA

ULTIMA SERATA - READING DI POETI ALL'ISOLA TIBERINA. VENERDI' 10 LUGLIO 2009, ORE 19,00, PRSSO LA NAVE DI ESCULAPIO (PUNTA SUD DELL'ISOLA TIBERINA, VERSO PONTE ROTTO)SI TERRA' IL READING DI PATRIZIA LANZALACO, PATRIZIA CIMINI E LAURA VENTURINI, POETI DEL FESTIVAL MEDITERRANEA 2009, A CURA DI FILIPPO BETTINI, QUINDI DEI POETI MIMMA PISANI,NORBERTO SILVA ITZA, LAURA FUSETTI E FRANCESCO LIOCE. COORDINANO LA SERATA FRANCESCA FARINA E ROBERTO PIPERNO, CHE PRESENTERANNO I POETI DAL PUNTO DI VISTA BIO-BIBLIOGRAFICO. INGRESSO GRATUITO (SPAZIO ALL'APERTO ANTISTANTE LA SALA GRANDE DELL'ISOLA DEL CINEMA, IDEATA E ORGANIZZATA DA GIORGIO GINORI).
MARTEDI' 14 LUGLIO 2009, INFINE, SEMPRE ALLE ORE 19,00, SI TERRA' LA CERIMONIA DI PREMIAZIONE DEI POETI FINALISTI DEL PREMIO "INSULA ROMAE", QUEST'ANNO ALLA PRIMA EDIZIONE, ALLA QUALE HANNO PARTECIPATO CIRCA SESSANTA POETI DA TUTTA ITALIA. SARANNO CHIAMATI A LEGGERE TUTTI I FINALISTI E QUINDI SI PROCEDERA' ALLA NOMINA DEI VINCITORI, PRESENTI I GIURATI TOMASO BINGA (BIANCA MENNA), MARIO LUNETTA, FRANCESCO MUZZION, ROBERTO PIPERNO E FRANCESCA FARINA. LA CERIMONIA E' APERTA AL PUBBLICO.

mercoledì 1 luglio 2009

EVENTO STRAORDINARIO!!!

IL 9 LUGLIO 2009, ALLE ORE 17,30, NELLA SALA DELLA PROTOMOTECA IN CAMPIDOGLIO,A ROMA, I TENORES DI BITTI (NUORO), GRUPPO FOLK NOTO UNIVERSALMENTE PER AVER PUBBLICATO CON L'ETICHETTA "REAL WORLD" DI PETER GABRIEL E CON ORNETTE COLEMAN E TANTI ALTRI GRANDI AUTORI, RICEVERANNO IL "PREMIO SALVATORE MANNIRONI" PER LA LORO OPERA E LA LORO CARRIERA ARTISTICA. PRESIEDERA' L'ONOREVOLE GEMMA AZUNI CON IVAN MELONI E ALTRE EMINENTI PERSONALITA' POLITICHE E CULTURALI. MOLTI CONTERRANEI DEI TENORES PARTECIPERANNO ALLA CERIMONIA INDOSSANDO I SONTUOSI COSTUMI TRADIZIONALI SARDI, CHE RISALGONO A TEMPI INDEFINITI. SARA' BELLISSIMO VEDERLI SFILARE COME IN UNA MAGICA E MISTERICA PROCESSIONE...OCCASIONE QUASI UNICA A ROMA! NON MANCATE!!!